
12 Apr Stefano

Riomaggiore
“La mia trinità artistica, quella che più ha impattato sulla mia sensibilità, è interamente femminile: Penny Crump, la mia prima insegnante di danza, Shawna Farrell, l’insegnante di musical, a cui devo l’equilibrio, il tendere verso il “less is more”, e Sadia Salvadori, la mia coreografa. Poi è arrivata Marina, la mia socia, partner in crime e in business, difficile pensare la mia vita oggi senza di lei.
Nella vita, sono sempre stato estremamente "loud", non certo sobrio.
È solo negli ultimi anni che mi sono reso conto che il silenzio ha una potenza incredibile, di cui ignoravo il senso. Si può dire che abbia imparato a volermi bene da due anni. Mi sono reso conto che mi sono necessarie almeno tre ore al giorno solo mie. Non sapevo dove trovarle, e alla fine ho deciso di alzarmi prima: ogni giorno, sveglia alle 5,30, yoga, lettura, meditazione.
È qualcosa che ho realizzato da quando sono tornato a vivere qui, e non può essere un caso. Questo è il mio posto dell’anima.
E dire che sono tornato per una caduta emotiva: stavo a Roma, ho incontrato una persona sbagliata nel jet set romano. Ho dovuto ricominciare daccapo. Mi reinventai come operatore turistico.
La prima volta che sono andato via avevo 17 anni, direzione Londra. Fino ad allora avevo vissuto nella bambagia, lì ho iniziato a capire come girava il mondo. Certo, essere gay a Roma o in una metropoli europea è diverso che esserlo in un paesino di provincia.
Quando ho aperto qui, hanno vandalizzato i muri del mio locale, ho subito attacchi frontali.
Ci sono anche delle mie denunce a testimoniarlo. Ma in realtà devo ringraziare chi mi ha odiato: raccontare quest’odio ai miei genitori, alle forze dell’ordine, mi ha permesso di razionalizzarlo, di esplicitare tutta la sua ridicolezza.
Vorrei sposarmi, un giorno. Il mio matrimonio me lo immagino al castello di Riomaggiore, celebrato da una regina queer. Esiste solo una ragione per cui sarei disposto a cambiare vita e città: l’amore. Per il resto la qualità di vita qui non ha pari al mondo.
Sogno anche un figlio con fecondazione assistita, ne ho parlato con la mia famiglia e sono d’accordo. E dire che la prima volta che i miei genitori si sono riferiti a un mio potenziale ‘compagno’ è stato quando avevo 42 anni. Qualche settimana fa.
L’ultima volta che sono sceso dal palcoscenico era il 2009, al teatro Sistina, a Roma. Ero il Conte Fersen nello spettacolo di Lady Oscar. La prima è stata al Sabato dello Zecchino d’oro, a sette anni. Ho sempre vissuto la vita sulle montagne russe, è solo ora che ho voglia di serenità davvero. Bevo questo spritz solo per rendere più fluente la conversazione, per far cadere qualche freno inibitore.
Quello che considero il mio maggior successo è sicuramente il mio locale, il “Mamma mia”: dedicare un locale a Riomaggiore a un musical – e che musical – era una cosa inaudita. Fritto e musica latina, te lo immagini in paese? Eppure, le coppie sudamericane si fermavano a ballare fuori dal locale. Di natura, sono uno che si impone sempre in maniera molto forte, ma so anche quando è il caso di tornare indietro. Ho venduto il locale quando eravamo nel punto più alto, e l’ho venduto a dei cinesi – anche questo, a suo modo, qualcosa di inedito, nelle super autarchiche Cinque Terre.
Al di là degli incontri nel mio percorso artistico e professionale, non sarei la persona che sono senza mia madre.
Mia madre rappresenta per me l’emblema della forza, pur portando addosso la croce di una sofferenza vissuta in maniera cattolica, e quindi ineluttabile.
In vista di cosa, poi? Un’espiazione che – noi ce lo possiamo dire – non arriverà mai. Eppure, sempre concedendosi con un sorriso al mondo. Come me, come il loto dal fango.
Il giorno più significativo per me in questo luogo è stato l’8 agosto del 2013, quando organizzai l’evento “Briomaggiore”, che portò più di 1.400 persone in paese. A detta di tutti, fu la prima volta che si sentì nuovamente lo spirito della sagra dell’uva, tradizione poi fortunatamente recuperata dal paese. Non avevamo soldi, per cui decidemmo di abbellire tutti i portoni semplicemente con dei lenzuoli bianchi. Quando al mattino ho visto il paese interamente coperto di bianco, con anche i turisti che stendevano fazzoletti pur di sentirsi parte della festa, ho pianto come una vite tagliata.
L’ultima poesia del mio libro è dedicata a Riomaggiore. Non potrebbe essere diversamente: per me questo è stato il mio inizio, e non riesco a immaginare una fine che non contempli questo luogo”.