
12 Apr Vincenzo

Corniglia
“Certo, sono nato e cresciuto qui. Ma ho uno sguardo diverso dagli altri. Ho viaggiato molto, in gioventù.
A 20 anni andai a Londra, a far la vita di cui leggevi nei romanzi, che ascoltavi nelle canzoni. Era la Londra degli anni ’80: per campare, facevo qualsiasi mestiere. Vivevo girando case occupate con un amico. Eravamo squatter. Quando vennero i miei a trovarmi prendemmo un appartamento una settimana in affitto, ma la notte prima guardammo Taxi Driver e
il mio amico ebbe la brillante idea di tagliarmi i capelli come De Niro durante la notte.
I miei in aeroporto non mi riconobbero. Era gente autentica, nata e cresciuta qui. La metropoli non faceva per loro, nelle distanze, nelle relazioni umane. Quando portai mia madre da Madame Tussaud’s a un certo punto mi chiese: ‘Ma cos’i fano sti chi tuto ‘l giorno in pè? I li pago almeno?’
È stato un anno memorabile, ma mi mancava il mare. All’inizio era un’assenza che cercavo di trascurare, ma a un certo punto diventò insopportabile. Non era una sospensione della vita, ma una vita comunque parallela, e che non sentivo mia.
Fu a quel punto che decisi di tornare.
All’inizio non fu facile: feci per un po’ il rappresentante, poi si presentò l’occasione giusta e rilevai una bottega in centro paese. Era la più antica di Corniglia: furono i primi a mettere la tv in paese, e tutti venivano a guardarla lì. La proprietaria ogni tanto passava a chiedere: ‘tu hai consumato? E tu, consumato?’. Fino a quando un giorno un soggetto del paese rispose ‘belin, a n’te me vedi, ciù consumà de così!’.
Il nostro cibo è preparato in modo artigianale. Mi rifiuto di fare take away. Credo che i rituali siano importanti, specialmente sul cibo. Se ti cucino una lasagna con pesto, fagiolini e patate, o le acciughe ripiene, non puoi mangiarle con le posate di plastica su una panchina.
Quando mia moglie, la madre di mio figlio, mi ha lasciato, all’inizio è stato difficile. La vita di paese diventa spietata, in quelle circostanze: la vedevo passare tutti i giorni per la via, due o tre volte al giorno. La felicità dei singoli è così violenta, sbattuta in faccia a chi ricorda ancora quella di coppia.
Nel tempo poi lei mi è stata vicina, specialmente quando mi sono ammalato.
Prima di conoscerla, facevamo la vita che fanno ora i ragazzini, ma con qualche differenza. C’erano pochi stranieri, erano soprattutto famiglie italiane, e si fermavano più a lungo, non una o due notti come ora, dove devi giocarti tutte le carte subito.
Le ragazzine di Milano venivano qui e noi le ascoltavamo. Avevamo il tempo per farlo, la predisposizione.
E loro erano così sorprese che qualcuno le ascoltasse… Quando tornano oggi, le riconosciamo più nello sguardo delle figlie che nel loro, ma è sempre un’emozione.
Ricordo quando veniva Pistoletto, l’artista, quando c’era qui anche Enrico Rava. Un giorno mi ha detto: ‘I miei figli li ho visti crescere davvero solo a Corniglia, perché qui possono uscire da soli, a fare la spesa…’
Nascere qui limita forse l’ambizione, ma focalizza sulla serenità, le piccole cose che misurano ancora il senso della vita”.