Folco

Corniglia

“La prima volta che sono arrivato qui a Corniglia mi sembrava il villaggio di Asterix. Era 16 anni fa. Ho regalato il mio cd di blues al titolare del Pirun. Gli è piaciuto, si direbbe, a giudicare da queste pareti… Da quel giorno non ho smesso di tornare. Ho suonato nel locale almeno duecento volte. E poi in paese, nella terrazza sul mare di Santa Maria.

Ho scritto un pezzo su Corniglia, si chiama Macaria, il contrario della Maccaja, quel fenomeno atmosferico che, anche per Paolo Conte, esiste solo qui in Liguria.

Sai, io sono un metropolitano: sono nato e cresciuto a Milano, mi piace concedermi il lusso di essere anonimo, scomparire nella folla.

Ma questo senso di comunità, la valorizzazione dell’identità personale che ti dà stare in un posto come questo è impagabile, ed è quello che abilita la creazione degli aneddoti, delle storie.

Personaggi come Ettore Costa, lo scultore che viveva in una baracca fuori dal paese, possono abitare solo posti come questi. Un giorno si è fatto una barca da solo ed è salpato. Diceva che andava in direzione delle colonne d’Ercole. Tutto il paese era in Santa Maria a salutarlo.

In Santa Maria è ambientato anche il mio ricordo più bello. Ero lì con Pepe, una di queste giornate elettriche, come questa. All’orizzonte si vedevano una serie di lampi e fulmini, era la prima volta in vita mia che li vedevo, ne fui stregato. A un certo punto Pepe mi guarda e mi dice: ‘Uè, ma cosi t’e fan i capelli?’. Diceva che mi andavano su e giù a seconda dei fulmini. Io non potevo verificarlo perché Pepe, lui, è pelato, ma gli credetti sulla parola.

La prima volta che venni nelle Cinque Terre fu a Manarola. Da lì, da Punta Bonfiglio, vidi questo paesino abbarbicato sui monti. ‘Cos’è quello?’ chiesi. ‘Oh, quello è il mio paese preferito, il mio piccolo segreto’, mi rispose un amico. Ci andammo il giorno dopo. Mi fece impressione come la gente, nell’unica strada del paese, si salutasse sempre. Anche se si vedevano quattro volte al giorno, si salutavano comunque. ‘Ciao Mario’. ‘Uè ciao Francè’.

Mi è sembrata una forma di resistenza umana meravigliosa.

All’inizio, a me, non mi salutava nessuno. Poi ho preso a imparare i nomi delle persone, e a salutarli io per soprannome o nome di battesimo. Subito mi guardavano strano, ma poi, lentamente, fu così che fui accettato dalla comunità, che cominciai a essere Folco, come forse da nessun’altra parte al mondo.

Sono un tipo metropolitano, ma è solo qui che mi sento davvero a casa”.