Eugenio

Manarola

“Le Cinque Terre non sono sempre state così come le vedete. Per me, il momento di svolta è stata l’istituzione del primo ostello, negli anni ’90. Da quel giorno, si videro molti più giovani in giro.

Per noi era motivo d'orgoglio, inizialmente: volevamo che la nostra terra fosse famosa, pensavamo lo meritasse.

Oggi abbiamo il problema inverso, con un overturismo che porta 3,5 milioni di turisti in un’area con 3.500 residenti. Ogni residente, mille turisti, concentrati principalmente nei mesi estivi.

Il problema è lo spazio, certo, ma anche una questione di identità delle persone: gli abitanti non riescono a sopportare quest’invasione, e se ne vanno. Non abbiamo una storia turistica di lunga data, come a Venezia, Firenze. Per noi è un fenomeno nuovo, e non abbiamo ancora gli strumenti culturali, oltre che organizzativi, per saperlo affrontare. Visti i numeri internazionali del turismo comunque in crescita, il modo e la frequenza degli spostamenti, e l’importanza di colpire l’immaginario dell’ospite prima che scelga, forse la maniera migliore sarebbe quella di spiegare che questo territorio ha delle zone simili, complementari, poco distanti da qui, che sono misconosciute e potrebbero giovare di una presenza più elevata di turisti. Recentemente un bar di Manarola una sera ha chiuso alle 19,30, perché i dipendenti erano stremati: troppa gente, tutta insieme. Dobbiamo uscire da questo circolo vizioso, promuovere un’altra idea di turismo, che vada oltre il selfie da Instagram. Dobbiamo tornare a raccontare storie”.